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?????????????Palù di Giovo

Ritorno in Val di Cembra

Il ritorno a casa era stato meno traumatico del previsto. Tre ore d’autostrada e tempo bello. Da Trento a Lavis gli era sembrato tutto nuovo e diverso. E poi su, dentro la Val di Cembra, con i suoi tornanti faticosi spinti su pareti di verde intenso e largo azzurro.

La deviazione per Verla di Giovo lo colse quasi all’improvviso. Risalì la breve rampa che conduceva a Palù. Quanti anni erano passati? Almeno quattro. Girò lo sguardo verso la valle, in lontananza. Davvero era sempre stato così bello? Un nodo gli chiuse la gola.

La casa dei suoi, all’inizio del paese, era stata ristrutturata, ridipinta di un bel rosa antico, coi balconi straripanti di gerani multicolori.

Parcheggiò nel cortile e scampanellò più volte.

La voce gioiosa di sua madre lo colpì al cuore.

Gli era andata incontro per scale e lo stava abbracciando con forza.

“Che bello che sei! Lasciati guardare.” Lo aveva investito con tutto l’entusiasmo dovuto all’assenza. Lui L’aveva stretta teneramente, pieno di nostalgia. “E papà? Claudio?” Le parole uscivano a fatica.

“Tutti in campagna. Vieni che ti do qualcosa da bere. Sarai stanco.”

“È molto bello qui.- aveva detto.- E tu, tu come stai?”

Per un attimo sua madre si era raddrizzata sulla schiena, come a voler cancellare quella gobba che da anni le dava dolori. Gli aveva preparato il caffè e aveva cominciato a parlare fitto. Orgogliosa, gli aveva mostrato la casa, raccontato delle ultime novità in paese, compresa quella del nuovo campanile, sostituito, a novembre, sotto una tormenta di neve.

“Vedi com’è bello? Tutta la comunità ci ha messo il cuore e il portafoglio. Tutti hanno dato una mano. Gli alpini, i vigili del fuoco e tantissimi volontari. La posa ci ha fatti sentire tutti un’unica famiglia.” Lui assentì, ma non capiva. Da troppo tempo non aveva una famiglia. Sua madre sembrava invecchiata ma era la stessa chiacchierona di sempre; un tantino sciatta ma sempre affabile e disponibile. “E voi?”

“Claudio s’è diplomato all’Agraria e qui va tutto come al solito. Sai bene, com’è.” Sorrise. Sua madre sapeva come farlo sentire a casa.

Alle dodici arrivarono gli altri. Suo padre era ancora un bell’uomo: alto, abbronzato, dall’aspetto calmo e forte. Quando lo vide gli occhi chiari gli si aprirono in un sorriso largo e intenso. Lo accolse fra le braccia con dolcezza e lo tenne silenziosamente sul petto.

Fu il più grande bentornato che ricordasse. Ricacciò una lacrima e restituì l’abbraccio. Suo fratello era diventato un uomo. Alto, con gli occhi azzurri e i capelli neri, s’era fatto proprio un bel ragazzo. Aveva un futuro nell’azienda agricola familiare e una vita già tracciata. Non lo invidiò. Lui voleva piegare,non piegarsi, al mondo.

Il pranzo era stato squisito. La conversazione con i suoi piacevole.

Nessuno aveva criticato la sua lunga assenza. Era stata accettata. Le telefonate erano state un surrogato tollerabile. Lo sapevano anche loro di quell’ansia di vivere che lo divorava e che lo aveva sempre fatto sentire fuori dal coro. Dopo il diploma in grafica pubblicitaria aveva cercato lavoro lontano da casa perché  lui di campagna, di vendemmie e fatica contadina, proprio non voleva sentir parlare.

Aveva tagliato ponti e rapporti per non soffrire troppo,e far soffrire.

Non era stato facile ambientarsi nella grande metropoli. Soffocare umiliazioni e delusioni. Ammettere fallimenti, lacrime e lividi.

Ogni tanto sbirciava fuori, stupito della bellezza della Corona, coperta di pini, carpini e frassini. Di quelle colline lussureggianti di vigneti, scavati nella roccia con sudore e fatica. E di quei borghi antichi, come Ville e Valternigo. In lontananza la vetta della Regnana. E poi quel silenzio meridiano, assolato e deserto. Quel cielo così immensamente azzurro in cui tutto pareva tuffarsi.

“Quanto resti?” aveva chiesto sua madre.

“Pensavo di fermarmi due o tre giorni.”

Claudio si era offerto di fargli fare un giro tra i vari appezzamenti disseminati nella valle. “Ti ricordi del Palusel? E le Fratte, il Predolai e le Peschere?  Vieni fratre. La campagna, in questo periodo è proprio una meraviglia.” Lo aveva preso a braccetto e con fare complice aveva aggiunto piano: “Devo parlarti.”

Dell’infarto di suo padre, l’anno prima, lui non sapeva niente. Fingere di non saperlo ora lo fece sentire colpevole. Egoista.

Quella notte, un violento temporale s’abbatté su un’ampia fascia della zona circostante, preparando un’alba sfolgorante.

Lui aveva dormito come un sasso e s’era svegliato presto, non prima di suo padre però, già in cucina a preparare il caffè.

Aveva in mente di fare un giro della valle e godere, in pieno sole, dei suoi contrasti. Era partito sereno per quel “corto viaggio sentimentale” che dava senso al suo ritorno. Cercava una riconciliazione col suo passato e la sua terra. Un perdono per sé da quell’abbandono, che non voleva gratuito né indolore.

La valle era un trionfo di verdi. L’aria fina, lavata dai temporali notturni, consentiva una visuale nitida e perfetta. La luce estiva attraversava potente la vegetazione e ne esaltava linee e profondità.

Da Lavis, s’era avventurato sulla provinciale per Albiano  con l’idea di fare qualche foto ricordo. A sorpresa, la vegetazione si apriva sul panorama circostante mostrando i paesi, sulla sommità delle colline, circondati da vigneti ordinatamente digradanti a valle, macchie di vegetazione e  boschi cedui. Ogni agglomerato aveva una chiesa, un campanile svettante. Così Palù, Verla e Ville, Ceola e Lisignago. Ovunque piccoli orti e giardini. E fiori, coltivati e spontanei. A Lona-Lases aveva girato verso il lago. L’aria fresca, quasi fredda, lo aveva pervaso di un piacevole benessere. Sdraiato su una panchina era rimasto a respirare quel verde di alberi e d’acqua, che gli trasfondeva un gran senso di pace. Poi s’era diretto  all’altipiano di Pinè, tra abetaie maestose e prospettive selvagge, più ardite ad ogni curva. Sarebbe tornato al lago di Serraia con sua madre. Anche a lei piacevano molto quei declivi pratosi e morbidi. All’improvviso si accorse di ricordi mancanti. Di un luogo della memoria caro dove trovare riparo e consolazione. Abituato a un altro mondo dove il cielo, mai davvero azzurro, era maltagliato dai grattacieli e le strade erano una follia di confusione, tanta quiete pareva irreale. L’auto, diventata un’entità autonoma, seguiva la strada ma lo sguardo, ingordo, si spingeva sempre oltre l’ultima curva. Superato Sover si era diretto a Valfloriana e al bivio aveva preso la statale della Destra Avisio giù verso Grumes e Valda. Lo sguardo scivolava leggero in lontananza, dove il pinnacolo candido del Bondone scintillava al sole. E poi Faver e Cembra. Piccoli bozzoli di un’umanità semplice e  autentica.

Per anni si era sentito estraneo a quel mondo che, pur legato alla terra, esprimeva il suo più profondo afflato di elevazione al cielo. E ora era lì, a gustarne l’abbraccio. Era come rinascere. Faceva male, ma vivere.

A cena, raccontò di quel viaggio intimo, in un territorio che era anche suo, nonostante il rifiuto e l’abbandono. Non si accorse subito degli sguardi muti, quasi smarriti. “Ma che c’è?” Aveva sbottato alla fine.

Suo padre gli porse il cellulare.

“Oggi sono stato in campagna a vedere i danni della grandine di stanotte.” 

I grappoli, che aveva visti numerosi e turgidi, erano sfatti. Gli acini, percossi da una furia crudele e precisa, giacevano esangui nella mano che li teneva. E le mele, ancora piccole e dure, erano state flagellate con copiosa e chirurgica accuratezza.

“Tutta la plaga, ha preso. Come non capitava da anni.”

Suo padre scosse la testa, sconfitto da quel gigante che non era possibile combattere. Lui non trovò parole per consolare suo padre e suo fratello. Li abbracciò entrambi. Semplicemente. E pianse.

 

Ciao ai miei amici…

Grazie a tutti coloro che leggono, commentano… lasciano un “mi piace”

Siete voi che mi aiutate a scrivere… che mi… muovete a farlo… a condividere sensazioni, sentimenti…. Grazie di cuore.

Con questo racconto ho partecipato al Concorso letterario Sensi di viaggio, indetto dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Giovo, in occasione della 56^ Festa dell’Uva, che si tiene ogni anno a Verla di Giovo, nel mese di settembre.

Un atto di amore per la mia terra che sono contenta di condividere con tutti quelli che sfogliando le mie pagine finiranno… in riva al lago del mio cuore.

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A questo indirizzo di skydrive, si possono ammirare gli splendidi paesaggi che hanno ispirato questo racconto,  raccolti fotograficamente da mio marito, Vittorio Vulcan (nkosivit, su libero)