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Ho sognato di fare l’astronauta fin da bambina.
Non so perché. Quando mi chiedevano cosa volevo fare da grande rispondevo invariabilmente “l’astronauta”. Questa convinzione ha dettato tutte le scelte della mia vita, a partire dalla scuola.
Liceo scientifico, Ingegneria a Monaco di Baviera, scuola nazionale superiore di aeronautica e dello spazio di Tolosa. Ho studiato Tecnologie chimiche a Mosca, e ho conseguito un diploma di scienze aeronautiche in Italia.
Ho frequentato l’accademia dell’aeronautica, sono diventata un pilota da guerra della NATO e ho fatto tutti gli addestramenti previsti.
Sono stata una delle 1430 donne che nel maggio del 2009 ha partecipato alle selezioni dell’ESA l’Agenzia Spaziale Europea per diventare astronauta ma non ce l’ho fatta. Ha vinto un’italiana e la cosa mi fa piacere per lei, ma questo ha ridimensionato di gran lunga le mie aspettative.
Adoro volare. Adoro fare un sacco di altre cose ma, adesso, le stelle mi sembrano, irrimediabilmente, troppo lontane.
Con le mani aggrappate a una tazza di tisana ripenso a questa giornata, trascorsa ad ascoltare i problemi dell’Artico grazie all’invito di un amico metereologo. Alle cinque, al bar del Centro Congressi ho conosciuto lui. Alto, bello, afflitto dall’alopecia ma con uno sguardo magnetico che mi ha affascinato. Seduti a un tavolino d’angolo abbiamo parlato per ore. Del nostro lavoro, delle nostre passioni, degli interessi che riempiono le nostre vite. Aveva gli occhi accesi parlando della Luna, dei voli spaziali, delle ricerche scientifiche di cui si occupa. I lunghi periodi di studio e di allenamento fisico, l’addestramento militare erano stati, ed erano, il pane e il sale della sua vita.
“Sai?- ha detto ad un certo punto – a breve partirò per una missione nello spazio. È tutta la vita che mi preparo per questo momento. È come se avessi vissuto solo per questo.”
Non ho avuto il coraggio di raccontargli il mio fallimento. Per qualche ora ho goduto della luce dei suoi occhi, della sua passione, e arso d’invidia. Un’invidia ormai scevra di risentimento.
Fuori dal locale, la volta celeste si è svelata ai nostri occhi in tutta la sua magnifica bellezza.
“Sei bella come questa notte stellata. – mi ha mormorato dolcemente e, carezzandomi, ha aggiunto – Questa serata dovrebbe finire diversamente. Ho una stanza qui, in albergo, ti andrebbe di salire un po’ da me?”
Non riuscivo a smettere di guardarlo. Tutto il mio corpo era attratto da lui, desideroso di liquefarsi tra le sue braccia ma, razionalmente, già toccavo il dolore della separazione e della perdita.
Non avrei tollerato un’altra voragine nel mio cuore.
“No. è meglio di no. Ma è stato bello conoscerti.”
Aveva tentato debolmente d’insistere. “Dai… davvero, dovremmo. Domani parto per raggiungere la Base, ed è tutto quello che ho da offrirti. Rimani.”
Mi sarebbe bastato un “Ti chiamo, quando arrivo alla Base”. Una promessa piccola piccola con cui sognare, con cui scaldare il cuore. Mi offriva un rimpianto che avrebbe dissanguato il cuore per un tempo più lungo della vita.
“Baciami.” Gli ho detto piano. E quel bacio è sceso lento e dolce dalla bocca all’anima.
È tutto ciò che mi rimarrà di lui.
“Devo andare, adesso. Buona fortuna.”
Ho messo in moto e sono partita. Prima di pentirmi di quell’abbandono. Prima di piangere.
Domani, anch’io rientro alla mia Base. Il Permesso studio è finito.

Sempre compiti rimasti nel cassetto….