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Ciao a tutti…

proseguo con l’analisi del libro di Evely sulla preghiera… Nessuno può dire che non ci sono spunti interessanti e anche più di questo… Il mio tentativo è di portarvi oltre questo scritto, oltre il computer, oltre il monitor… oltre voi stessi… Sì, è vero, può fare un po’ male, ma è bellissimo… come una rosa con le sue spine…

 

Capitolo II  Pregare con fede

Sappiamo che la preghiera serve per comunicare con Dio e restare in contatto con Lui.

Gesù pregava e molto. Trascorreva notti intere in colloquio con il Padre, e la gioia che traspariva da questi colloqui spinse i discepoli a chiedergli di insegnar loro a pregare.

Gesù insegnò loro il Padre nostro raccomandando di farlo in nome suo.

Il Padre nostro è una preghiera filiale come dovrebbe esserlo ogni preghiera che si eleva a Dio.

Ogni preghiera è la dimostrazione che lo Spirito Santo lavora in noi. È la riprova che la grazia di Dio che ci consente di riconoscerci come suoi figli ci spinge verso di Lui con fede, speranza e amore.

È lo spirito d’adozione che ci fa chiamare Dio, Padre.

La preghiera cristiana ha questo carattere predominante: di rivolgersi con fiducia e abbandono al Padre. La certezza che questo Padre ci ama e si preoccupa di noi, SEMPRE, anche quando pare che dorma, (ricordate l’episodio della tempesta, e Gesù che dorme sulla barca?) è la fede che Egli chiede nel rapporto con Lui.

Ecco perché preghiera e abbandono sono vitali in questa relazione.

Perché Dio, come un buon genitore, ci esaudisce ma non a nostro capriccio. Lui sa cosa è meglio per noi ma non è a nostra disposizione. Non fa il nostro comodo solo per tirarci fuori dai guai dopo che vi ci siamo cacciati, con tutte le scarpe, esercitando il nostro libero arbitrio.

Dio usa misura e temperanza come anche noi dovremmo fare.

Ha tempi diversi dai nostri e più lunghi.

Un dono prezioso va centellinato giorno per giorno come il famoso “pane quotidiano”.

Dio deve tenere a bada la nostra ingordigia, la nostra insaziabile voracità.

Proprio come un buon padre ci deve educare a stare al mondo.

(Infatti guardate un po’ cosa accade nel mondo a non voler ascoltare, imparare da Dio….- n.d.r- )

Lo stesso episodio di Zaccaria, padre del Battista, (che aveva chiesto un figlio a Dio ma non era stato esaudito a suo tempo e era stato privato della voce perché aveva continuato  in una preghiera farisaica e sterile, senza fiducia) fa riflettere.

Pregare, ma senza fede, non serve. Una fede illanguidita non porta frutto.

Spesso si chiede con fede una grazia a Dio ed egli ce la concede. Lo fa subito. Ma poi, col tempo si smette di credere che Dio possa davvero concederla. Si continua a chiedere meccanicamente senza convinzione e poi ci si stupisce di essere stati esauditi.

Ma la colpa non è di Dio, È NOSTRA.

Gesù, Maria ci insegnano con la loro vita che ognuno è esaudito in modo diverso. Molto spesso non si ottiene proprio quello che si vuole ma qualcosa di più, qualcosa di diverso e di più importante. Quello che si ottiene deve essere utile per noi e per la nostra anima, non per il portafoglio.

(Penso a tanti malati che chiedono la guarigione, e ottengono anni di sofferenza o la morte. Ma, insieme con questo, anche la forza di resistere e lottare, la capacità di  accettare e trasformare tutto quel dolore in un bene superiore per il mondo agli occhi di Dio. Ma non vi sembra straordinario? Essere trasformati da Dio in strumenti di perfezione e di redenzione?

Avere la consapevolezza di questo non solo è vita in grazia, ma è la capacità di dimostrare come la forza dello Spirito (che è in noi) ha origine divina e può tutto.

Certo, Anche Gesù ha chiesto al Padre “Allontana da me questo calice” ma anche “Sia fatta non la mia ma la Tua volontà”. E qui, si ricade sulla fiducia, e all’abbandono all’Amore di Dio, per noi.

Ci vuole un grande impegno per capire concetti simili.

Un profondo scavo interiore perché, altrimenti, sembra pura follia.

 

Un altro aspetto importantissimo della preghiera sono i concetti espressi.

“Venga il Tuo regno…. Sia fatta la Tua volontà, rimetti a noi i nostri debiti COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI…”  Sono parole come macigni che i più dicono senza pensarci troppo… senza pensare alla fedeltà di Dio…o paragonandola alla propria.

Ma vogliamo davvero che venga il Suo Regno? E davvero pensiamo di saper perdonare come Lui?

Si promettono sacrifici si fanno voti a Lui… che li accetta ed esaudisce… Ma che poi, anche, esige la parola data. La promessa fatta.

Pregare costa molto, perché la preghiera lavora su di noi. Dentro di noi, costringendoci a cambiare pressoché radicalmente da come siamo. La preghiera che vuole farci raggiungere Dio lima dentro di noi fino a renderci adatti e giusti allo scopo.

Un po’ come rinascere a vita nuova, col dolore che questo comporta.

Pregare aiuta a “entrare nel modo di vedere Dio, vedere le cose come le vede Lui… è la sua vita che penetra in noi e ci trascina.” La nostra preghiera non è più nostra ma Sua…

Con attenzione, umiltà e silenzio questa preghiera salirà dal cuore alle labbra…

A forza di pensare e credere A COLUI A CUI LO CHIEDIAMO, finiremo col sapere COSA DOBBIAMO CHIEDERE.

E continuando a pregare impareremo a farlo, con le parole giuste per noi e adatte a Lui.

Una conversazione affettuosa verso chi si ama e che ci ama. Non sembra così… facile?

 

Diventa vitale allora saper bussare alla porta di Dio, rivolgersi a Lui, sperare, attendere, corrispondere. Proprio ciò che non sappiamo fare. Bussare a una porta presuppone di pensare all’Altro a cui rivolgersi, che attende, che ascolta e che spera.

A Lui, il segno della mia fiducia, l’appello della mia amicizia.

Imparare a bussare, imparare a chiedere.

Bussare e scoprire una porta aperta. Sfiorarla con un dito e aprirla piano per prepararsi all’incontro.

Allora sarà facile la vergogna, la paura di quell’incontro, che ci spingerà a richiudere la porta.

Quella come tante altre nella nostra vita.

Insegnaci a pregare Signore. A calmarci, a restare tranquilli, a prendere respiro e ascoltare, a risvegliarci dai nostri incubi, nelle tue braccia.

Noi bussiamo perché Tu ci concedi di farlo. O forse sei Tu che bussi e noi rifiutiamo di aprire?

 

“Bisogna pregare sempre e senza stancarsi” ha detto Gesù.

Se la preghiera è la vita di Dio in noi, se è l’espressione dei desideri di fede, di speranza e di amore che Egli suscita incessantemente nelle nostre anime, si capisce come sia continua.

Ma, attenzione, non stiamo parlando di una preghiera ciarliera e parolaia, ma di una preghiera  fatta col cuore. Le parole uccidono la preghiera. Nascondono l’oggetto invece di rivelarlo. Danno l’illusione di conoscere ciò che contengono e distolgono l’attenzione da quell’oggetto medesimo.

Diciamo parole di cui abbiamo perso il senso e il peso.

Per pregare bisogna ridare valore alle parole, re-impararle.

Bisogna caricare le parole di senso e usare poche parole per pregare:

Dio mi ama, Dio è qui.

Riaffermare lo stesso concetto fino a quando  ci è ben chiaro…  fino a quando non ha esaurito la sua azione su di noi, finché non abbia finito di trasformarci e di farci soffrire, portandoci finalmente a essere e vivere quel che diciamo. Come un colpo di pialla sulla spessa tavola della nostra incredulità, della nostra durezza, della nostra distrazione. Fino a renderla così sottile da passarci attraverso.

E non è neppure necessario dire qualcosa. Nella religione cristiana Dio ha cessato di essere una parola per divenire realtà, presenza.

Il Verbo che si è fatto carne.

Dio ha voluto una religione semplice per gente semplice. Preghiere facili che fossero alla portata di tutti. (sarà per questo che quelli istruiti, i sapienti – quelli che si sentono savi – la rifiutano? Perché è troppo semplice? E quindi in grado di essere veramente compresa da tutti? Mah! – ndr)

Dio ha liberato la preghiera dalle parole. Ecco l’incarnazione. Resa perpetua, continua con i sacramenti. Corpo, carne voce, mano di Gesù ci raggiungono ed entrano dentro di noi per le vie più brevi e ordinarie.

Bisogna pensare al Gesù bambino. Guardarlo e riguardarlo e riguardarlo ancora con stupore, con meraviglia.

Fin dall’inizio Dio chiede uno sguardo di fede.

Gesù, che vive fino a trent’anni nell’anonimato perché nessuno lo riconosce. Ma è la fede che consente di vederlo e riconoscerlo. Dapprima il Battista, poi qualche altro attirato dal Padre…

Dice l’emorroissa: “Se riesco soltanto a toccare la frangia del suo mantello, sarò guarita.”

Ecco, questo è il modo giusto di pregare: con fede.

Quale dovrebbe essere allora la nostra gioia pensando che Egli è qui, ora.

Che il nostro pellegrinaggio è finito ed egli è qui per l’eternità.

(Ma quanto dura l’eternità in confronto alla nostra breve vita terrena? Vale la pena dannarsi per l’eternità in questi pochi anni terreni? È una soluzione distogliere il pensiero da questo?)

Dobbiamo accostarci e ritrarci da Dio con prudenza e rispetto. Ancora e ancora. Senza stancarci, perché Lui è sempre lì davanti a noi.

Lasciarsi stupire da questa presenza che è sempre davanti a noi per la nostra felicità.

Restare per ore in una chiesa deserta al solo scopo di guardarLo ed essere guardati.

(Sarà perché non ci sentiamo guardati da Lui  che quando entriamo in chiesa facciamo un rapido segno di croce e poi ci sediamo e parliamo fitto fitto col nostro vicino, a messa? Entriamo in casa ma non ci curiamo troppo del Padrone. Lui ci aspetta, ci accoglie ma noi… non lo vediamo.

Le chiese sembrano sempre così vuote… Perché non sappiamo andare oltre gli occhi.

Perché ci dimentichiamo che lo Spirito Santo in noi lancia continuamente invocazioni, preghiere, atti d’amore e di gioia.

Noi dobbiamo soltanto ratificare, consentire questo. Contare su di Lui, insomma.

Non dipende da noi mantenerci attenti e senza sbandamenti, ma tocca a noi ricominciare umilmente.

Se Dio è l’essere più importante dell’universo, se è l’aria del nostro respiro, la sorgente inesauribile, colui che alla fine sarà l’oggetto della nostra attività eterna, non possiamo, in questa vita, avere altro scopo che imparare a vivere e respirare in Lui.

Dio non è un paracadute: c’è se occorre ma si spera sempre si poterne fare a meno.

È in Dio che abbiamo la vita, il movimento e l’essere. Anche quando non ci pensiamo.

Se Gesù ha pregato (e lo faceva per notti intere) come potremmo fare noi, senza pregare?

 

Bisogna imparare ad annoiarci davanti a Dio. Lamentarsi con Lui di noi stessi, del nostro brutto carattere, delle nostre deprecabili infedeltà.

È una preghiera piena di tedio quella che ha salvato il mondo. Gesù ha sofferto il tedio da morirne.

Ah, come avrebbe voluto non trovarsi là, come avrebbe desiderato essere altrove.

 

La nostra preghiera annoiata salverà il mondo e salverà noi.

Ma dopo quel tedio  trascorso a pregare l’anima si risveglierà più forte e agguerrita, forte e viva.

Nel tempo trascorso ad annoiarsi davanti a Dio ecco che immense zone del nostro essere si sono aperte alla luce come  foreste incolte, finalmente coltivate e rigogliose.

Mentre ci si annoiava davanti a Dio si è anche imparato a conoscerlo e ad amarlo.

Amare è proprio questo: rimanere fedeli, stare lì, preferire, non seguire le intermittenze del cuore, RIMANERE FEDELI NELLA NOIA.

Non avrete mai tanto amato qualcuno, non avrete mai conosciuto tanto amore, non sarete mai stati così vicino a Dio come dopo esservi così annoiati vicini a Lui.

Sarete come quel bambino che si annoia a giocare con la mamma… ma provate a torgliergli la mamma!

Scrive il Card. Newmann:

“Certe preghiere che la malattia, l’agitazione, inquietudine, ci avevano impedito di gustare, certe pratiche che, in quel momento, malgrado la nostra fede nel  loro carattere sacro, disturbavano i nostri volubili cuori, certe preghiere che eravamo tentati di trovar troppo lunghe, che temevamo in anticipo e che non ci pareva vero di finire mentre le recitavamo (ohimè! Come è possibile essere tanto ciechi e insensibili al nostro maggior bene?) certe pratiche si rivelano in seguito tutte piene di Dio”.

Si esce, si respira e poi… improvvisamente si avverte ciò che stiamo perdendo.

 

Pregare significa morire e vivere:

morire in qualche parte di noi stessi in cui siamo troppo vivi ma aridi, agitati e sterili;

nascere in una vertiginosa profondità dove la nostra anima cieca comincia a muoversi, dove il sangue ricomincia a fluire, come in un membro intorpidito dove ritorna il movimento in un essere paralizzato.

Fa male. Fa male a lungo, ma è il male che si prova nel nascere o nel ritornare alla vita.

 2. Continua