Ciao a tutti.
Tornata finalmente dalla malattia, anche se non perfettamente guarita, torno al blog e ai miei amici.
Quei pochi e fidati che mi seguono da tempo e che mi vogliono bene: Leo, Mamylella, Skay rose, tanto per non fare nomi…
Quelli per i quali vale la pena di scrivere… che sono, con la loro assidua presenza, un pungolo, uno sprone ad andare avanti, nonostante tutto, a non rinunciare a un sogno…
Aiutare gli altri a capire che l’AMORE è veramente l’unica cosa che conta, la PRIORITA’ PRIMA… IL MOTIVO ISPIRATORE del nostro agire….
Ma, andiamo per ordine…
Intanto questo intervento integra, se mai fosse possibile, Le regole dell’amore pubblicate in precedenza, con il racconto di un’esperienza diretta e vera capitata a me.
Scrivo perché un’amica, dopo averla ascoltata, si è emozionata fino alle lacrime.
Perché a me piace, tutto sommato, essere positiva e “costruttrice” di pensieri positivi.
Allora…
Come alcuni sanno, a maggio sono stata operata alle anche.
La destra, per precisione. Una bell’anca tutta nuova, cromata e porcellanata.
Non penso che interessi molto il diario di bordo di tutta l’esperienza ospedaliera, ma ci sono alcuni piccoli aneddoti che forse vale la pena di raccontare.
Piccole perle di una preziosa collana: la Vita.
Una è questa, ma ne “tirerò” fuori altre.
Come è noto sono stata operata (dopo una serie di piccoli inghippi e 10 giorni extra) il 13 di maggio, e già, la data, dovrebbe dire qualcosa. Prima apparizione della Madonna di Fatima.
Previsti quattro giorni di ricovero e poi il trasferimento al San Michele di Albenga per la riabilitazione. Routine.
Dici: “Tanto è già la terza volta, sai già com’è, come va a finire.” E invece no.
Non lo sai. Perché ogni volta è diversa. Tu sei diversa. Ti credi forte e invece sei fragile, credi di poter sempre dare e poi, invece, a tradimento ti assale il bisogno di ricevere.
L’operazione è andata bene, il post operatorio oltre ogni aspettativa, ma quella notte in bianco, la seconda in due giorni, proprio non ci voleva.
Non è solo il male, la posizione scomoda o la luce fioca del corridoio che piove nella stanza. È un malessere intimo, una solitudine amara che graffia il cuore e toglie, se non la speranza, la serenità.
Anche la notte scorsa è stata difficile e senza riposo, ma non così. Fredda.
Mi ha preso un gran desiderio di parlare.
Con qualcuno che possa capirmi, che abbia voglia di ascoltarmi e farmi compagnia.
La mia vicina di letto ha il respiro difficile, si agita nel sonno e qualche volta si lamenta.
La invidio un po’. Anche un brutto sogno può essere meglio che pensare cose tristi e sentirsi abbandonati. Comincio a pregare sottovoce. In modo meccanico, automatico. Comunque, Lui mi ascolta. Più che un dialogo, all’inizio, è un monologo.
“Ecco, vedi come sto? Aiutami, Ti prego. Fa’ che possa dormire almeno per qualche minuto, Ti prego.”
Snocciolo Ave Marie tenendo tra le mani il mio vecchio rosario. Questo mi tranquillizza un pochino. Lentamente ho come la sensazione di non essere più davvero sola.
Sono i matti che parlano da soli.
Poi la preghiera diventa più di un’invocazione d’aiuto.
È la richiesta di un’idea, di un consiglio.
Mi basterebbe telefonare a casa. Chiamare Vittorio e parlare con lui. Capirebbe.
Mi aiuterebbe. Ma io voglio che tutto questo amore, dal quale credo di essere circondata, per una volta, si faccia vedere e sentire, venga da me senza aspettare che sia io ad andare da lui.
Desidero con tutto il mio essere di “essere davvero amata”, senza doverlo chiedere. Senza doverlo dichiarare. Desidero amore gratuito e spontaneo.
Ma non sono paziente. Non so aspettare.
Mando una mail a Leo, un caro amico di Milano. Non ho il suo numero di telefono altrimenti lui, lo chiamerei.
“Ti prego Leo, rispondimi. Chiamami.”
Aspetto e prego, ma niente.
Solo dopo essere tornata a casa scoprirò che l’indirizzo era sbagliato e la mia mail non gli è mai arrivata.
Non ci siamo mai incontrati. So poco niente di lui, ma mi piace. Mi fido. Lo sento davvero amico e questo me lo rende prezioso. Ma stanotte pago pegno.
Sola. Non resta che pregare e aspettare. Aspettare e pregare che venga giorno.
Campanelli che suonano, grida e lamenti che si levano nella notte, carrelli che scivolano sferragliando, passi veloci e felpati: quanti dormono?
Mi assopisco all’alba. Una domenica di maggio che si annuncia carica di nuvole all’orizzonte e ventosa, con un sole timido che, via via, diventa più sicuro e caldo.
Sono debole, debolissima. Non reggo neppure i pochi minuti che servono per il pranzo.
Mi viene prescritta una trasfusione che però dovrà essere subito sospesa perché sto male.
L’antidolorifico che mi danno è così potente che mi addormento subito.
Mi sveglia, qualche ora dopo, il trambusto dei parenti in visita.
Io non aspetto nessuno. Troppo lontana da tutti.
Mi è stato di conforto, finora, la presenza e l’affetto dei parenti delle altre degenti con cui ho diviso la stanza, ma per me stessa non ho aspettative.
E invece…. Tataaannnn…. Sono da poco passate le cinque quando alla porta si affacciano i visi sorridenti di mia sorella Silvia e suo marito Alessandro. Un colpo al cuore.
La sorpresa e la gioia sono una ricarica energetica indicibile.
Sono talmente sopraffatta dall’emozione che comincio a parlare e a parlare e a parlare…
Un torrente in piena che scroscia a valle senza argini e senza freni.
Poi un sole si affaccia alla porta.
Il viso bellissimo dell’uomo che amo da morire. Da vivere. L’uomo che mi ama. Che non ha bisogno di una telefonata per sentire e vivere insieme a me le mie angosce. Perché, vicini o lontani, siamo una cosa sola. La scarica di adrenalina è potente.
Mi sento come rinata. Nuova. Forte. Penso che se me lo chiedesse tornerei a casa a piedi.
Rivederlo è un toccasana. Per il mio umore, per la mia autostima. Per l’anima.
Nell’attimo in cui l’ho visto ho avuto come un’illuminazione.
Quell’Amore meraviglioso, quella “Cosa meravigliosa” che a noi non manca perché viene da Qualcuno più in alto di noi e si trasfigura, “ci” trasfigura, è il “filo”.
Che lega Lui a noi, e noi tra noi.
Questo è il segreto. La magia.
La telepatia che tiene uniti i cuori e le menti di chi si ama come se fossero uniti e partecipi di un Tutt’uno che “tiene, avvolge e compenetra” tutto ciò che si lascia tenere, avvolgere e compenetrare.
Ah, non c’è dubbio. Anche se non è la prima volta che ci accade, è stata un’esperienza fantastica. Qualcosa che ci lega ancora di più. Malgrado noi e le nostre singole volontà.
Ho come la sensazione di aver scoperto l’acqua calda.
Credere nell’Amore e lasciarsi andare a Lui, Meraviglioso e Infinito, trascendente e trascendibile ci trasporta in una dimensione più alta.
Altissima ma non irraggiungibile.
Divina, nella sua umanità.
Provare, per credere.